L’accordo approvato ieri sera alla Cop26 di Glasgow è un compromesso deludente, certo non all’altezza delle azioni radicali e urgenti che la crisi climatica in atto richiederebbe.
È importante che nel testo finale restino l’obiettivo di contenere entro un grado e mezzo dai livelli pre-industriali il surriscaldamento del Pianeta e quello conseguente di tagliare le emissioni di CO2 del 45% (rispetto al 2010) entro il 2030, per arrivare a emissioni nette zero ‘intorno’ a metà secolo. Per restare sulla traiettoria indicata dall’Accordo sul clima di Parigi gli Stati dovranno rivedere i propri impegni di riduzione delle emissioni entro il 2022 e c’è un riferimento significativo alla giusta transizione, ma ci sono due passi indietro su carbone e sussidi fossili.
Più che l’India o la Cina deludono i Paesi sviluppati, responsabili storici dell’inquinamento, che ancora non sono riusciti a ‘mettere sul tavolo’ quei 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare la transizione energetica e l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo e a basso reddito. Una promessa fatta nel 2009 che dal 2020 si sarebbe dovuta tradurre in stanziamenti effettivi e che il Patto di Glasgow ‘esorta’ a raddoppiare entro il 2025. Si poteva e si doveva fare di più.
L’Italia, insieme all’Europa, faccia la sua parte, adegui il Piano energia e clima all’obiettivo 1,5 gradi, programmi dopo il phase out dal carbone anche quello dall’era delle trivelle e avvii dalla Legge di Bilancio il taglio graduale dei sussidi fossili.
SU AIUTI AI PAESI IN VIA DI SVILUPPO I PAESI SVILUPPATI E INQUINATORI STORICI DOVEVANO FARE DI PIÙ
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