Il Piano integrato Energia e Clima presentato oggi al Mise dovrebbe essere lo strumento strategico attraverso il quale gli Stati dell’Ue attueranno, di qui al 2030, il cambiamento necessario alla decarbonizzazione e al raggiungimento degli obiettivi sul clima che il mondo si è dato a Parigi.
Ma il condizionale è d’obbligo. Chi si aspettava dal governo giallo bruno un piano capace di riportare l’Italia in traiettoria con gli obiettivi di riduzione delle emissioni assunti a livello internazionale è rimasto deluso. Il governo del cosiddetto cambiamento, infatti, non ha alzato l’ambizione sul clima, ma ha presentato un Piano energia e clima in continuità con il passato, non sta spingendo sulle rinnovabili né sull’efficienza energetica e non ha iniziato neppure a spostare verso soluzioni innovative e sostenibili i 16 miliardi di sussidi alle fonti fossili.
In sostanza si tratta di un piano fondato sulla continuazione delle misure esistenti – come il phase out del carbone dalla produzione elettrica al 2025 già previsto della SEN – e con obiettivi nazionali inferiori a quelli europei sia per la riduzione delle emissioni (37% il taglio italiano di emissioni, 40% quello europeo che l’Europarlamento ha chiesto di portare al 55%) che per le rinnovabili (che da noi soddisferanno il 30% dei consumi finali lordi, mentre il Europa arriveranno al 32%).
Anziché considerare il gas un importante accompagnamento nella transizione energetica, il Piano continua a guardare al gas e alle fossili come energia del futuro: nel mix energetico del 2030 continueranno a pesare più delle rinnovabili. Mentre il biogas fatto bene, ossia quello che deriva dagli scarti agricoli o dai rifiuti, viene liquidato come fonte marginale. E il taglio reale dei consumi di energia primaria calcolato in base ai consumi del 2016 sarà di appena il 7% secondo molte analisi.
Carente anche sul fronte della mobilità sostenibile,per cui non propone un piano globale, e dei consumi del settore residenziale.
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