Traffico illecito di rifiuti. È il reato per il quale Eni è stata condannata nel processo di primo grado sulle estrazioni petrolifere in Basilicata anche a una sanzione amministrativa di circa 700mila euro e alla confisca di oltre 44 milioni. Una condanna in linea con il principio europeo del ‘chi inquina paga’. Oggetto del contendere l’acqua separata dal greggio estratto nell’impianto Eni della Val d’Agri, classificata erroneamente come rifiuto non pericoloso e smaltita come tale, con grande risparmio per la società del cane a sei zampe. Ci sarà un appello e la giustizia farà il suo corso. Ma è assodato che dei rifiuti industriali pericolosi sono stati smaltiti come se non fossero tali. A danno dell’ambiente.
Dopo il caso della fuoriuscita di petrolio che ha contaminato il “reticolo idrografico” e decine di ettari della Val d’Agri, il Centro Olio di Viggiano torna a fare notizia con un nuovo reato ai danni del capitale naturale. Tutto mentre parliamo di transizione ecologica e l’Europa è pronta a sostenere con ingenti risorse la decarbonizzazione. Un fronte strategico sul quale le aziende pubbliche, anziché restare ancorate ad un’economia legata al passato e ai fossili come fa l’Eni, dovrebbero dare il buon esempio e sul quale il ministero della Transizione ecologica sono certa vigilerà indicando la direzione giusta da prendere.
Anziché continuare a parlare, su Viggiano credo sia necessario stabilire una data per lo stop alle concessioni e programmare l’uscita della Val d’Agri dall’era fossile. La Basilicata non è il Texas, si progetti la riconversione degli impianti e si valorizzi la vocazione di un territorio agricolo e di grande pregio naturale. Su cui non a caso insiste il Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese.
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