Non chiamatelo maltempo: siamo in piena emergenza climatica. Settimane di allerte meteo con piogge incessanti che hanno provocato allagamenti in tutta Italia, sfollati e frane, come quella che ha portato al crollo di un tratto di viadotto sulla Torino-Savona, rendono incontrovertibile la realtà. Siamo un Paese fragile, dove i rischi sono ulteriormente acuiti dalla cattiva gestione del territorio e dagli effetti dei mutamenti climatici in atto.
Il clima, infatti, è già cambiato e sta presentando il conto. Nel 2018 il mondo ha visto 850 disastri naturali soprattutto alluvioni, inondazioni, frane uragani e tempeste. La conta dei danni per questi disastri è stata particolarmente salata: 160 miliardi di dollari per il Munich Re. Solo nel nostro Paese Legambiente ha censito nel 2018 148 eventi estremi che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati, tra il 2010 e oggi ben 563 eventi registrati sulla mappa del rischio climatico che hanno avuto impatti rilevanti in 350 Comuni. Secondo un’indagine di Climate Central pubblicata sulla rivista Nature, se i ghiacciai continueranno a sciogliersi al ritmo attuale, 300 milioni di persone che vivono in aree costiere saranno sommerse dall’oceano almeno una volta l’anno entro il 2050. E l’Italia è una penisola.
Basta allora alle soluzioni tampone. Per mettere in sicurezza i cittadini e affrontare in modo adeguato la crisi climatica, come chiedono i giovani del Climate strike che torneranno in piazza venerdì 29, è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti. A partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza climatica, dal rafforzamento del Piano energia e clima, dal graduale taglio dei sussidi dannosi per l’ambiente e da un piano strutturale per la messa in sicurezza del territorio, la mitigazione del rischio e l’adattamento al climate-change. Proprio come chiede la mozione di maggioranza a mia prima firma che sarà discussa oggi dalla Camera.
Avere a cuore l’ambiente e affrontare con serietà e i mutamenti climatici è quanto di più rivoluzionario possa esserci oggi in politica. Perché occuparsi della crisi climatica significa gettare le basi di un nuovo sviluppo, equo, inclusivo, duraturo e che non compromette il futuro, dunque significa risolvere contemporaneamente le crisi ambientale, economica e sociale.
La Fondazione per lo sviluppo sostenibile stima, ad esempio, sia possibile in Italia dare un forte impulso ad uno sviluppo sostenibile e a un aumento importante dell’occupazione – che potrebbe raggiungere 800.000 addetti in sei anni – affrontando con misure adeguate alcune grandi problematiche ambientali. Che sia questa la strada giusta lo indica anche il rapporto GreenItaly di Fondazione Symbola e Unioncamere stando al quale c’è stata una domanda di green jobs pari a quasi 474.000 contratti attivati, il 10,4% del totale delle figure professionali richieste per il 2018.
La mia mozione per l’emergenza climatica impegna quindi il governo a lavorare per l’inserimento del principio dello sviluppo sostenibile in Costituzione, per ridurre le emissioni di CO2 in tempi rapidi e certi e per spingere il sistema Italia verso la conversione ecologica. L’atto sollecita un programma di investimenti pubblici orientati alla sostenibilità che coinvolga i principali settori produttivi. Il governo dovrà anche impegnarsi per promuovere l’economia circolare, razionalizzare e stabilizzare gli incentivi previsti per l’efficientamento energetico e la sostenibilità in edilizia, per una mobilità e una produzione industriale sostenibili. Insomma per un Green new deal capace di rilanciare il Paese puntando sulla sostenibilità e di garantire più sicurezza ai cittadini.
Il mio intervento in Aula alla Camera durante la discussione generale della mozione a mia prima firma per dichiarare anche l’Italia in emergenza climatica.
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